CONTEST 2022 - Apiario d'Autore

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CONTEST 2022

APIARI > 2022
4° Apiario d'Autore 2022 Sicilia - VERGA
celebrazione del centenario della scomparsa di Giovanni Verga
Luogo inaugurazione: Il Castello ex carcere mandamentale di Vizzini - (CT)
Gemellaggio con il progetto "BeeDINI Vizzini 2030" responsabile Associazione Officine Culturali
Luogo apiario: Sicilia presso Agriturismo A' Cunziria (Vizzini)
Apicoltore:  Apicoltura nomade Bio Bio di Antonino Coco
Tema
Argomento di questo Quarto Apiario d'Autore è stato "Alveari".
Ogni artista ha realizzato il frontale utilizzando ed interpretando il paradiso con il proprio estro artistico,
Inoltre questo tema è derivato dalla scelta di rendere omaggio a Giovanni Verga scrittore, drammaturgo, considerato il maggior esponente della corrente letteraria del Verismo.

Uno dei romanzi più conosciuti della letteratura italiana è Mastro don Gesualdo, nel quale si cela un appassionato e discusso enigma: “il mistero degli alveari” che ha portato molti studiosi internazionali ad interrogarsi sul significato.

Tratto da:
Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga - 1888

Parte 2 – cap. V
”La sala stessa era ancora parata a lutto, qual era rimasta dopo la morte di don Diego, coi ritratti velati e gli alveari coperti di drappo nero torno torno per i parenti venuti al funerale, com'era l'uso nelle famiglie antiche”

La fantasia del Verga nel trovare l’archetipo della forma dei favi da miele che compongono l’alveare nel disegno della trama che costituisce lo schienale delle sedie di Vienna utilizzate nelle famiglie nobiliari. Altri studiosi interpretano questa sua scelta stilistica testuale un oggetto che a quel tempo era d’uso a Vizzini, creare degli “scanni” – seggiolini – con la parte base dei fusti di ferula poco adatti alla costruzione delle tipiche arnie siciliane nelle quali si allevava l’ape nera indigena (Apis mellifera siciliana).
Al suo tempo molti studiosi fecero la domanda al Verga ma rimase sempre vago, da qui nasce:
- Il mistero degli “alveari” del Verga –



Mastro Don Gesualdo: "Il mistero degli Alveari"
Del 1889 è il secondo grande romanzo di V., Mastro-don Gesualdo*, già pubblicato in rivista l’anno precedente, ma con varianti significative. L’impianto narrativo, più ampio che nei Malavoglia, è quello di un romanzo di costume; il montaggio degli episodi è per successione di quadri, ognuno dei quali svolge un tema, senza che lo scrittore, fedele alla poetica dell’impersonalità, intervenga: dal quadro d’apertura dell’incendio di palazzo Trao a Vizzini, che scopre la rovina materiale e morale del nobile casato, a quello finale della solitaria morte a Palermo, nella foresteria del duca di Leyra, tra l’irrisione della servitù, dell’ormai rassegnato protagonista. Anche la morte è qui spogliata di ogni solennità, consegnata alla commedia di chi sopravvive. Nel sovrapporsi chiassoso di voci che incrinano ogni valore sociale V. sembra aver individuato il ritmo espressivo di un’umanità condizionata dal denaro, condannata alla solitudine. È una condizione di cui i personaggi non hanno coscienza né avvertono il disagio, diversamente dai protagonisti dei romanzi giovanili. Per questo "Mastro-don Gesualdo", più che un ultimo grande prodotto della tradizione ottocentesca, appare come il primo romanzo italiano dell’alienazione borghese.


Mastro Don Gesualdo
 
1964 Italia

 
Il primo impresso su pellicola, in esterni, e il primo ad andare in onda in prima visione sul secondo canale: uno sceneggiato dei primati, Mastro Don Gesualdo, tratto dal romanzo omonimo di Giovanni Verga e trasmesso in 6 puntate dal 2 gennaio al 6 febbraio 1964. Per la regia di Giacomo Vaccari, che sarebbe prematuramente scomparso poco dopo la fine delle riprese, questo teleromanzo ha uno stile narrativo altamente innovativo, accogliendo suggestioni di tipo cinematografico e allontanandosi dall'impronta pedagogica tipica della televisione degli albori. Fra gli interpreti principali Enrico Maria Salerno, Lydia Alfonsi, Turi Ferro, Sergio Tofano.

 
Regia: Giacomo Vaccari
 
Interpreti: Enrico Maria Salerno, Lydia Alfonsi, Sergio Tofano, Turi Ferro

(clicca sull'immagine per accedere al video)



Breve storia di Giovanni Verga
Nato da famiglia di nobili origini e di tradizioni liberali, crebbe alla scuola di Antonino Abate, esponente di una letteratura civile di ascendenza byroniana e guerrazziana. La sua prima prova romanzesca, "Amore e patria" (1856-57, inedito; tre capitoli ne furono pubblicati nel 1929), esce da quell’arroventata officina provinciale e affianca all’approssimazione linguistica l’enfasi patriottica. L’esordio pubblico avvenne nel 1861 con I carbonari della montagna, una storia collocata nella Calabria dei primi moti carbonari, ma che riflette motivazioni etiche e politiche dello scrittore ventenne, arruolatosi durante l’impresa garibaldina nella guardia nazionale e impegnato in attività pubblicistiche di forte ispirazione unitaria. Macchinosità e goffaggine di scrittura relegano I carbonari in una preistoria verghiana, in cui resta confinato anche "Sulle lagune" (1863), che chiude la trilogia catanese d’ispirazione patriottica ma nel quale si possono cogliere i segni di una prima «conversione», dal romanticismo eroico a quello passionale. Il passaggio è documentato dalla sostituzione della figura dell’artista a quella dell’eroe nei successivi romanzi: "Una peccatrice" (1866) narra infatti l’avventura di un giovane scrittore esordiente; ovvio il riferimento autobiografico, anche se Verga prende le distanze dal suo nuovo eroe, come da quelli successivi della serie dei romanzi passionali, inserendo tra accaduto e narrato il filtro di un narratore. L’opera che di colpo fece uscire Verga dalla clandestinità letteraria e presto s’impose come un best seller fu "Storia di una capinera" (1871); essa esibiva due ragioni di popolarità: il motivo manzoniano della monacazione forzata e la struggente confessione di un amore impossibile che condanna alla follia e alla morte.

Intanto, trasferitosi nel 1869 a Firenze, Verga aveva avuto modo di conoscere l’ambiente letterario della città, in quegli anni capitale d’Italia (fra l’altro strinse rapporti con F. Dall’Ongaro). Nel 1872 si stabilì a Milano, entrando in relazione con scrittori quali A. Boito e G. Giacosa e frequentando i ritrovi letterari della città (in particolare il salotto della contessa Maffei). Le opere di quegli anni hanno uno schema simile a Una peccatrice: in "Eva" (1873) si consuma il tema dell’artista vittima dell’amore e della società, nel quale sono ravvisabili influenze della scapigliatura ma anche indizi autobiografici, mentre il dittico "Eros" (1874) e "Tigre reale" (1875) sposta l’obiettivo sull’eroe della mondanità, uomo o donna «di lusso».

Nel 1874 però V. aveva anche pubblicato il «bozzetto siciliano» "Nedda", con cui inaugurava un genere non ancora tentato e nel quale in quegli anni continuò a cimentarsi: la novella. Ma ciò che più conta è la parsimonia dei mezzi stilistici lì adibiti alla rappresentazione di un destino lasciato senza riscatto né umano né sociale, oltre alla scelta di un argomento «umile» come la vicenda di una misera raccoglitrice di olive siciliana. È quello che viene considerato l’inizio di una nuova maniera verghiana, che trovò compiuta espressione nei "Malavoglia" * (1881), primo di una progettata serie di cinque romanzi (ciclo dei Vinti). Nei Malavoglia sono chiari i cardini della nuova concezione veristica di Verga: da una parte l’individuazione di un «punto di vista» che consenta al narratore di calarsi nei fatti e quasi scomparire, lasciando che questi si producano da sé come per una necessità naturale, cancellando la mano dell’autore; dall’altra il progetto di tipo balzachiano e zoliano del ciclo. Nei risultati, comunque, più dell’ambizioso progetto sociologico, presentato nella prefazione al romanzo come lo studio dei meccanismi che determinano la darwiniana lotta per la vita e le leggi del progresso umano, è valida la prima istanza di rappresentazione o, come dirà lo stesso erga., «illusione» della realtà: un’istanza linguistica ed espressiva che rende conto della diversità dei livelli e registri narrativi tra le grandi opere del V. maturo. Evitando di dar voce direttamente alle proprie reazioni etiche, ideologiche, affettive, lo scrittore persegue l’obiettivo di orchestrare la materia sull’intonazione di una voce narrante, ritmata su una cadenza locale immune da compiacimenti dialettali e su una sintassi mimetica che restituisca l’elementarità e insieme l’eloquenza, la sentenziosa proverbialità del parlato, e cali il lettore nel ritmo naturale del vissuto. Verga si immerge nel mondo sociale di Aci Trezza, nella semplice e insieme rissosa comunità che sta attorno ai protagonisti, i Toscano detti i Malavoglia, e si confronta con i miti di quell’umanità elementare: l’«ideale dell’ostrica» come difesa dall’urto della marea, da cui tuttavia tutti gli eroi del romanzo sono investiti dopo il naufragio della «Provvidenza» (la barca dei Malavoglia) che avvia la vicenda; la «religione della famiglia» incarnata dal patriarca della «casa del nespolo», il biblico padron ’Ntoni, ed ereditata dal mite Alessi; la «vaghezza dell’ignoto» che getta gli inquieti, il giovane ’Ntoni e la sorella Lia, in bocca al mondo, «pesce vorace» che inghiotte coloro che spezzano il vincolo tutelare della comunità.

Negli stessi anni in cui lavorava ai "Malavoglia", V. scriveva pure alcune delle sue novelle più riuscite: la serie di "Vita dei campi" (1880), che comprende un’anticipazione di tono colloquiale dei motivi del romanzo "Fantasticheria", ed è dedicata ai «primitivi» ("La lupa", "Jeli il pastore") e ai dannati della terra ("Rosso Malpelo"), e la serie delle "Novelle rusticane" (1883), dove la materia si articola in un contesto di rapporti storico-sociali ed economici più evoluti, ma anche fortemente drammatici (Libertà) e ossessivi (Malaria, La roba). Alla maniera mondana e sentimentale va invece ricondotto il romanzo Il marito di Elena (1882), mentre le altre raccolte di novelle, Per le vie (1883), "Vagabondaggio" (1887), "I ricordi del capitano d’Arce" (1891), "Don Candeloro e C.i" (1894), attingono anche a una vena populista. Dalle novelle inoltre V. traeva materia di drammi: nel 1894 il grande successo di "Cavalleria rusticana" inaugurava il verismo a teatro in quella tipica veste regionale ed «elementare» tanto cara al repertorio di fine secolo. Minore fu la fortuna di altri drammi: "In portineria" (1885); "La lupa" (1896), iscritta però duraturamente nel repertorio passionale delle grandi attrici; "Caccia al lupo" (1901); "Caccia alla volpe" (1901).

Con "Mastro-don Gesualdo" il dittico narrativo fondato sulle due «religioni», o miti sociali, della famiglia e della roba si era realizzato, lasciando sospesa l’attuazione del grande ciclo dei Vinti: il successivo romanzo "La duchessa di Leyra" rimase incompiuto, mentre gli altri due previsti ("L’onorevole Scipioni" e "L’uomo di lusso") non furono nemmeno iniziati. All’estrema attività dello scrittore appartengono l’altro romanzo "Dal tuo al mio" (1906), una sarcastica e amara parabola dei conflitti sociali, adattato subito dopo per il teatro, e alcune novelle.

Gli ultimi anni V. li trascorse a Catania, chiuso in uno scontroso isolamento e in un lungo silenzio. Egli aveva trovato nel verismo un metodo per creare in letteratura un correlativo «naturale» della realtà e liberare la prosa italiana dall’artificio; per questo preferì tacere quando quel metodo non sembrò più coincidere con la sua materia. Ma la critica aveva da tempo riconosciuto il suo rilievo di innovatore e il suo magistero d’artista, a cominciare da L. Capuana, che ne predisse ed esaltò la grandezza, e B. Croce. In seguito si sono avuti i contributi di L. Russo, G. Devoto, L. Spitzer, il dibattito marxista sulla poetica e l’ideologia verghiana, quindi il lavoro della filologia, nuove analisi del testo e nuove interpretazioni generali.

Fonte: "Enciclopedia della Letteratura" Garzanti 2007
Definizione del progetto


Composizione e conduzione dell’apiario

L'anno 2022 è un anno particolare perchè sono riuscito a creare un punto d'incontro tra il progetto "BeeDini - Vizzini 2030".
L’iniziativa intende valorizzare l’ex  Carcere Mandamentale di Vizzini, sito di interesse storico monumentale  che si trova nelle aree interne del catanese e candidato dal Comune di  Vizzini al bando “Il bene torna comune”, attraverso la nascita di  un’impresa sociale finalizzata allo sviluppo del territorio e alla  creazione di nuovi scenari di autoimprenditorialità agroalimentare e  culturale.
Formazione specialistica di alta  qualità sul mondo delle api, sulla filiera lattiero casearia e  olivicola, apididattica, attività ludico didattiche di educazione  ambientale e del patrimonio culturale per le scuole di ogni ordine e  grado, teatro sociale, master class di pasticceria, saranno solo alcune  delle attività che si svolgeranno al Castello – ex carcere mandamentale.
Infine, un percorso di accompagnamento  alla creazione di una nuova impresa sociale avrà l’obiettivo di avviare  la produzione di nuovi prodotti che valorizzino le specificità del  territorio, riprendendo antichi saperi produttivi agro-alimentari di  Vizzini e in particolare quelli legati al miele. Alla filiera produttiva  agroalimentare la nuova impresa saprà affiancare attività di  socializzazione a matrice culturale, con la finalità di potenziare la  partecipazione attiva e consapevole della comunità di riferimento, in un  muto scambio generativo di coesione e collaborazione.

L"Apiario d’Autore” sarà collocato in due location nel territorio del Comune di Vizzini:
- una presso il Castello ex carcere mandamentale;
- l'atro presso l'agriturismo A'Cunzeria.

Verrà composto da n. 16 arnie prodotte dalla Cooperativa Sociale Rò La Formichina

I sedici frontali sono prodotti dalla Cooperativa Il Pungiglione Il Villaggio dell'Accoglienza sono in legno monostrato listellare di abete rosso certificato PEFC Val di Fiemme o Austria, fabbricate presso la cooperativa sociale in Toscana. L’acquisto dei frontali è stato fatto per sostenere il progetto sociale della Comunità Papa Giovanni XXIII di cui Il Pungiglione fa parte poiché accoglie presso le case famiglia persone svantaggiate ed impegnate presso i laboratori per un percorso di riabilitazione attraverso l'impegno lavorativo.

Alcune opere, vista la lontanaza e la caratteristica dell'artista che utilizza la digital-art, sono state realizzate utilizzando lo stampa ad alta risoluzione grazie a PMF93.

Il ogni frontale realizzato dagli artisti verrà installato sulle arnie durante l'inaugurazione che si effettuerà il 18 aprile 2021.

Saranno introdotte le 16 famiglie verranno messe a disposizione da Apicoltura BIoBio di Anonino Coco - Vice Presidente di A.R.A.S. (Associazione Regionale Apicoltori Siciliani)

L’arnia verrà corredata n. 2 melari ed apiscampo per la stagione di produzione.

La conduzione della famiglia sarà fatta con metodo biologico, nessuna clippatura delle ali regine, blocco della covata estiva ed i trattamenti effettuati durante l’anno solo con acido ossalico ossalico gocciolato nel periodo estivo e sublimato in quello invernale.

L’apiario sarà di tipo stanziale e verranno seguite le fioriture naturali della zona, sperando nelle condizioni climatiche ottimali si cercherà di ottenere un miele locale unico.. Di ogni miele verrà prelevato un campione di 100g ed inviato al laboratorio Piana Ricerca per l’analisi pollinica per l’individuazione della corretta composizione per un idonea etichettatura.

Durante l’anno verranno eseguite regolari sopralluoghi per visionare lo stato della famiglia.

Trascorso un anno verrà smontato il frontale dipinto dagli artisti  intorno a metà febbraio 2023  (in base alle condizioni climatiche) e verrà posizionato un frontale che riporterà il passaggio di Apiario d'Autore con una copia in formato ridotto dell'opera che aveva ospitato nell'anno precedente.


Finalità dell’iniziativa

Punta sull’importanza delle api come indicatori della qualità dell'ambiente e per la continuità delle risorse alimentari del pianeta, attraverso l'impollinazione e la produzione di miele. Riavvicinare le persone a questo affascinante mondo e riuscire a sensibilizzarle portandole a scoprire questo insetto come se entrassero in una galleria d’arte per il piacere di ammirare un’opera di un grande artista.

Le api con il loro incessante lavoro daranno carattere alla parte posteriore del frontale lasciando dei segni indelebili come frammenti di propoli, cera ecc.; mentre l’artista lascerà il suo segno sulla parte frontale in modo da impreziosire, secondo la sua tecnica pittorica e grafica, questo semplice pannello di abete.

Nel corso dell’anno 2022, visitando l'apiario, si ha la possibilità di “vivere” il ciclo produttivo, partecipando ove possibile ad alcune fasi  sia mediante visite Apiario sia a distanza, per corrispondenza informatica o convenzionale.

L’iniziativa descritta sarà regolata da accordi scritti, improntati alla massima serietà, correttezza e trasparenza.

Ma questo è solo l’inizio, perché l’idea è quella di realizzare negli anni successivi altri apiari satelliti sempre con lo stesso concetto di “Apiario d’Autore” dai quali si una edizione limitata di miele ricavato dai nuovi apiari installati nelle aree dismesse e recuperate e sarà distribuito in contenitori in pura cera d’api ed il packaging raffigurerà un immagine dell’opera degli artisti. Infine la volontà di realizzare dei “Bee Hotel” all’interno di queste aree di recupero per creare una casa per le api solitarie, per altri insetti impollinatori e non che sono di grande importanza per arricchire la biodiversità per controllare i parassiti e migliorare la salute degli ecosistemi.

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